Quando la fotografia non fa vivere

Quando la fotografia non fa vivere

Vi siete mai trovati a vivere un sogno senza rendervene conto? Siete mai stati circondati dalla bellezza senza però riuscire a vederla, completamente ciechi ad essi? Io si, purtroppo, ecco quando.

Avevo atteso da molto tempo il viaggio di Settembre 2019, un viaggio che avevo colpevolmente caricato di troppe aspettative. Era da anni che programmavo di ripartire da solo, di vivere un’avventura sulla strada, in quelle poche terre rimaste selvagge nella cara vecchia Europa. Avevo in mente di scattare tante di quelle fotografie da riempire tutte le mie schede di memoria, mi ero immaginato ogni singolo tramonto ed ogni singola alba, già vedevo verdi aurore danzare sopra la mia tenda. Tenda che giorno per giorno avrei montato là dove avrei voluto, per svegliarmi al mattino con orizzonti sempre diversi.

Ma difficilmente la natura delle cose segue i piani della mente.

Nei giorni passati alle Isole Faroe mi ritrovai colpito da un vero e proprio ciclone. Tra vento e pioggia ogni mio progetto di fotografia fu annichilito. Solo una mezz’ora di luce mi permise qualche scatto, 30 minuti di tregua dal maltempo, nulla più.

Arrivato in Islanda la situazione non pareva migliore. La pioggia continuava a cadere costante tanto da penetrare anche all’interno della mia tenda,  nuvole e ancora nuvole coprivano il cielo grigio, grigio come il mio umore. Mi ritrovai a metà viaggio senza aver fotografato nulla di quello che mi ero prefissato, senza aver mai visto un’alba, col morale a terra, battuto dal meteo inclemente. Mi spostavo da un luogo all’altro, continuamente in cerca di qualcosa da fotografare, passando ore seduto al volante della jeep, lontano da tutto quello che mi circondava. Guardavo dal finestrino e vedevo solo le fotografie che non avevo scattato, i tramonti che non c’erano stati.

Ma stare da solo per giorni ti porta alla mente milioni di pensieri, ti costringe a farci i conti e ti mette faccia a faccia con la realtà: la mia passione per la fotografia mi stava ossessionando! La fotografia era stata da sempre per me uno stimolo, un pretesto per chiudere lo zaino e partire, una scusa per girare il mondo, ma mai un fine ultimo. Stavo pensando solo al risultato dello scatto, volevo solo ottenere belle immagini, mi ero completamente dimenticato di dove fossi e, soprattutto, perchè!

Mi trovavo a vivere quello che per molti è un sogno: ero io, una Jeep, una tenda e l’Islanda. Dopo troppi giorni dalla mia partenza per queste terre ritrovai il vero significato del viaggio. Di colpo gli occhi mi si aprirono, inizia a vedere vulcani in ogni dove, imponenti ghiacciai che scendevano dal cielo fino a pochi passi da me, fragorose cascate e distese infinite di lava. E così ho scoperto che la penisola di Snæfellsnes ha molto di più da offrire che il solo Monte Kirkjufell, ho scoperto la più bella colata lavica mai vista nei pressi di Arnarstapi e che Þingvellir in autunno è un tripudio di colori, una magia con sfumature rosse e gialle. Ho scoperto che posso avere una cascata tutta per me a Kvernufoss. Ho scoperto che nel canyon di Sigöldugljufur l’acqua ha un colore mai visto prima e che il Landmannalaugar è il paradiso di ogni avventuriero, anche sotto la pioggia, con i suoi sentieri che si snodano tra montagne arcobaleno e pozze fumanti. Come naturale conseguenza di questa mia rinascita ho ripreso a scattare fotografie in ogni direzione, perdendomi su quei passaggi che nessuno mai imprigionerà in un click. Senza pensare alla pioggia, alla luce, senza pensare alle fotografie che avrei voluto, lasciando solo che lo scatto fosse espressione del viaggio e non un suo limite.  La ricerca spasmodica dello scatto perfetto mi aveva impedito di vivere, rotta la maledizione sono tornato a fotografare. E a vedere.

Passione, non ossessione.